Uno dei primi brani inclusi nel nostro progetto dedicato alle nuove musiche per clarinetto e chitarra è Invitation, duo per clarinetto basso e chitarra scritto dalla compositrice francese Colette Mourey. Colette ci ha gentilmente concesso un’intervista che risulta utile per inquadrare la sua poetica e il suo stile, con particolare riferimento al linguaggio ipertonale di cui si fa promotrice.
Colette, parto da una domanda superficiale, ma che può spiegare molte cose sul tuo rapporto con le sei corde. Sul tuo profilo Facebook campeggia una foto che ti ritre mentre suoni una chitarra. Immagino che tu abbia, o abbia avuto, un’attività esecutiva da chitarrista. Che relazione c’è tra il tuo essere chitarrista e l’essere compositrice?
Sono stata interprete ed insegnante di chitarra: ho studiato chitarra classica con Oscar Caceres a Parigi e con altri maestri (ad esempio, ricordo alcune magnifiche masterclass con Leo Brouwer). Dal momento che sono compositrice e ho un gran numero di commissioni (a volte lavoro 20 ore al giorno!), suono perlopiù per me stessa e per la mia famiglia. Verifico sistematicamente allo strumento quanto scrivo per chitarra, per verificarne le difficoltà e diteggiarlo accuratamente. Ho anche completato l’intero iter di studi di pianoforte, l’altro strumento correlato alla mia attività professionale.
Ho profonda coscienza del fatto che il “suono mentale” è di gran lunga più importante di qualsiasi tipo di pratica strumentale: per prima cosa, noi ascoltiamo mentalmente la nostra musica, è la cosa che più conta. Successivamente lavoriamo e lavoriamo, nella nostra testa, per farla scendere giù, fisicamente, sulla Terra… Non c’è alcuna relazione tra una struttura compositiva e la realtà strumentale. Solo alla fine, nell’ultima parte del lavoro, ovvero la strumentazione o l’orchestrazione, le due cose si capovolgono: più conosciamo degli strumenti (tutti), migliore è il risultato finale.
Il tuo primissimo pezzo per clarinetto basso e chitarra, Invitation, è un omaggio al clarinettista che più di ogni altro è stato il responsabile del “Rinascimento” del clarinetto basso, vale a dire il compianto Harry Spaarnay. Il modo di suonare di Spaarnay ha in qualche modo influenzato la scelta del materiale musicale, delle figure musicali, dei gesti che richiedi nel pezzo?
Abbiamo avuto contatti via mail, Harry Spaarnay ed io, su questioni di carattere musicale: è un Maestro, un grande musicista. Ho ascoltato i suoi concerti per avere un’idea di come potesse suonare il clarinetto basso. Successivamente, ho cercato di associare i suoi “pattern” alla mia idea di ipertonalità.
Definisci il tuo linguaggio musicale come “ipertonalità”, facendo così riferimento ad un sistema che accoglie in maniera evidente l’eredità del passato. Come ce la descriveresti? Che significato ha usare il linguaggio tonale, o usare un linguaggio che ha delle forti connessioni con la tonalità, in un’epoca che ha largamente emancipato la tonalità e il rumore?
Ho studiato contrappunto atonale con Jules Falk, dopo aver studiato contrappunto classico, armonia ed orchestrazione. Quand’ero giovane amavo e percorrevo questo percorso atonale, ma ho realizzato che il pubblico sembrava distante da questo percorso di ricerca e non molto felice di ascoltarlo. Dal canto mio, ho esplorato le scale non cicliche: non cicliche perché sono più larghe dell’ottava e in questo modo raggiungono diverse altezze in diversi registri. È interessante perché riassumono in un’unica struttura l’intero mondo “modalità/tonalità/atonalità” ed altre tendenze.
Allo stesso tempo volevo reintrodurre, all’interno di uno stesso contesto, le funzioni tonali nel contrappunto atonale (arrivando a funzioni armoniche molto “larghe”) e la consonanza (ciò che sentiamo come “consonanza”). Non sono una grande amante della dissonanza.
La mia ipertonalità è un sistema contrappuntistico, più che armonico; funzionale (contrariamente al contrappunto in genere); consonante, di norma, ma accetta in pari misura il rumore ed il suono; essa conferisce inoltre, grazie alle scale a spirale, la sensazione costante di “andare oltre” e un respiro molto ampio.
Oggi abbiamo in mente – sia geograficamente che storicamente – scale modali, tonali o atonali che arrivano dal passato e da ogni luogo e lo stesso vale per suoni e rumori: sono i nostri materiali comuni, una specie di confluenza mondiale. La mia ipertonalità accetta questi materiali e può essere intesa come un luogo dove convergono Oriente e Occidente, Africa ed Europa… Noi compositori di tutto il mondo siamo spesso in contatto tra di noi e, grazie ad Internet, si fa in fretta a comunicare le nuove idee. Probabilmente avremo un’evoluzione verso stili “planetari” all’interno della musica colta, perché ogni giorno molte idee interessanti emergono da ogni dove.
Che ci dici invece del tuo lavoro più recente per clarinetto basso e chitarra, Blues Sonata? Hai usato anche in quel caso il linguaggio ipertonale?
La mia Blues Sonata è un incontro, fondamentalmente, tra blues (come atmosfera e stile), alcune scale mutuate dal jazz e la mia ipertonalità, l’ho scritta apposta per voi. È più ritmica e “jazzy” (più vicina, in questo, alla mia Sad O’Clock Soul Dance). Ci sono ancora più effetti timbrici e di colore che negli altri duo che ho scritto: è il colore e il carattere di ogni intonazione a contare di più in assoluto. Gli strumenti hanno pari importanza a livello melodico, lo stile è perlopiù concertante (in forma di dialogo).