Intervista ad Antonio Bellandi

Trovare un compositore disposto a scrivere per chitarra a dieci corde non è una cosa semplice. Ancora meno semplice è trovarne uno che voglia cimentarsi nell’ardua impresa di inserire questo strumento ancora giovane in un contesto cameristico. Il pistoiese Antonio Bellandi è riuscito nell’impresa, scrivendo La favola di Apollo e Marsia per clarinetto basso e chitarra a dieci corde. Di seguito vi diamo conto di una breve intervista rilasciata dal compositore stesso, che ci auguriamo possa accendere la curiosità su questa nuova, importante acquisizione della letteratura per chitarra.

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Antonio Bellandi, a destra nella foto, mentre riceve una targa commemorativa da parte del Lions Club di Pescia

Antonio, potresti riassumerci qual è stata la tua formazione in ambito compositivo e chi sono le figure che più ti hanno influenzato?
Ho studiato Composizione al Conservatorio “G. Puccini” di La Spezia, diplomandomi e successivamente facendo, nello stesso Istituto, il biennio specialistico. Successivamente ho seguito master in Italia ed all’estero.
Posso affermare con certezza che il mio rapporto con la composizione musicale è stato influenzato principalmente dalla figura del mio maestro Andrea Nicoli. Il modo di costruire le forme, di pensare il suono come un’entità complessa ed il desiderio di spingere la ricerca musicale verso nuovi orizzonti mi derivano interamente da lui: gli sono molto grato. Successivamente il mio linguaggio si è ampliato seguendo percorsi
di scrittura molto variegati che hanno contribuito a creare il mio attuale modo d’intendere l’esperienza sonora.

Prima della Favola di Apollo e Marsia, hai scritto altri pezzi per chitarra? 
Il mio primo brano per chitarra è stato “The Valkyrie’s vigil”, per chitarra elettrica sola, dedicato a Sergio Sorrentino ed ispirato all’omonimo quadro di Edward Robert Hughes. Successivamente ho composto un Concerto per chitarra elettrica e orchestra dedicato anch’esso a Sorrentino. Il brano è in tre movimenti recanti ognuno un titolo (“Il treno per Terezin”, “L’ultima farfalla gialla”, “Il vento nei campi…rideva…”) ed è ispirato alla tematica della Shoah; per questa ragione il materiale musicale del Concerto utilizza scale e motivi della musica popolare ebraica all’interno di un personale linguaggio timbrico-armonico.
Sin dal titolo del tuo brano per clarinetto basso e chitarra a dieci corde, è evidente un riferimento alla mitologia classica. Come si sostanzia questo riferimento nel brano?
L’episodio mitologico a cui il titolo del brano si riferisce caratterizza la composizione da più di un punto di vista. Innanzitutto la scelta dell’organico è già insita in qualche modo del racconto: Apollo (strumento a corda), Marsia (strumento a fiato). L’esecuzione del brano diviene, così, anche una sorta di metarappresentazione teatrale. La forma del brano e la scelta di alcune altezze “perno” sono ricavate da un lavoro di misurazione condotto su l’Apollo del Belvedere e sul Marsia del Louvre. Ogni episodio cerca inoltre
di rendere a livello sonoro i contenuti del mito descritti dal testo latino di Igino che, opportunamente tagliato, si dipana nel corso del brano e che si trova direttamente scritto nella partitura episodio per episodio. Possiamo dire, quindi, che il riferimento mitologico informa questo brano a 360 gradi.
Che differenze hai trovato nello scrivere per chitarra e per chitarra a dieci corde? Quali pensi siano i motivi che possono spingere un compositore a dedicarsi al decacordo? O detta altrimenti, quali sono secondo te gli elementi che più la caratterizzano e hanno catturato la tua attenzione?
Indubbiamente la scrittura che ho utilizzato per i due diversi strumenti presenta delle differenze spiccate. Il decacordo offre, grazie all’estensione maggiore e alle maggiori dimensioni, possibilità armoniche e timbriche impossibili sulla chitarra a sei corde. L’aspetto che ha catturato maggiormente la mia attenzione è proprio questo: la ricchezza di risonanze, di armonici e, quidi, di possibilità timbriche davvero infinite. Se a
questi aspetti aggiungiamo le possibiltà dello strumento di ottenere la succitata grande ricchezza armonica (dovuta, ovviamente, alla presenza delle dieci corde) il risultato è quello di poter scrivere per uno strumento versatile, con un’infinita tavolozza di colori ed affascinante da scandagliare.